Il 31 gennaio 2019 l’inventore Andrea Rossi ha presentato al pubblico il reattore E-Cat SK, così chiamato in memoria del fisico teorico svedese prof. Sven Kullander, che – anche come già presidente dell’equivalente svedese del nostro Cicap – aveva assistito a dei test privati ed era profondamente convinto della bontà di questa invenzione, al cui sviluppo diede un contributo importante. Non a caso, l’Università svedese di Uppsala ha già replicato, più di un annetto fa, il reattore E-Cat di precedente generazione (l’Hot-Cat), sebbene non ne sia stato dato annuncio pubblico. Ma come è fatto e funziona l’E-Cat SK?
Da gennaio 2019, la tecnologia E-Cat, sviluppata per la produzione di energia pulita a costi irrisori, ha fatto il suo ingresso sul mercato dell’energia (inizialmente solo in Stati Uniti, Svezia e Giappone), essendo giunta alla sua piena maturità. Ciò grazie a un reattore di nuova concezione – l’E-Cat appunto – che opera in un dominio relativamente poco noto della fisica, quale quello della materia condensata su scale picometriche, grosso modo a metà strada fra quelle atomiche e quelle nucleari.
La storia di Rossi e dell’E-Cat è molto affascinante e ho avuto la fortuna di esserne in qualche modo parte, dato che insieme ad altre persone, fra cui due ingegneri, siamo stati alcuni anni fa co-licenziatari per l’Italia di questa tecnologia. Successivamente, dato che vi erano ordini di acquisto per il prodotto da parte di clienti industriali importanti ma quest’ultimo non era ancora pronto per il mercato, si è preferito optare per un buy-back della licenza per non mettere in difficoltà Rossi, e viceversa.
Esistono, fondamentalmente, tre generazioni di E-Cat. Questo articolo, che è diviso in tre parti, introduce il lettore da zero all’argomento. In questa prima parte, potete trovare i link per approfondire l’E-Cat di prima e di seconda generazione, ma anche molte informazioni sull’E-Cat di ultimissima generazione, l’E-Cat SK. Nella seconda parte dell’articolo sarà invece illustrata la fisica dietro il funzionamento dell’E-Cat SK e nella terza parte verranno date molte informazioni per chi volesse tentarne una replica.
L’evoluzione del reattore E-Cat nel corso degli anni
Nel 2016, il reattore E-Cat, nato in forma assai rudimentale nel 2005-2006, è giunto alla terza generazione (nota come QuarkX, mentre la versione attuale, molto simile, è chiamata E-Cat SK), ed è un vero e proprio “reattore al plasma”. La prima generazione (2008-2011) produceva calore a bassa temperatura (120 °C), mentre il reattore di seconda generazione (2012-2015), chiamato Hot-Cat,forniva calore di processo ad alta temperatura (600 °C), idoneo anche per la produzione di elettricità tramite una turbina.
Le varie generazioni del reattore E-Cat. (adattata dal sito “E-Cat The New Fire”)
L’E-Cat di prima generazione (120 °C) usava come “combustibile” idrogeno fornito da una bombola e polvere di nichel e di un catalizzatore (che poi si è capito essere litio). Invece l’Hot-Cat, il reattore di seconda generazione (600 °C) replicato da Alexander Parkhomov e da vari altri fisici nel mondo, usa come “combustibile” nichel in polvere – trattato preliminarmente con cicli di riscaldamento per eliminarne l’aria e aumentarne la porosità – e polvere di litio alluminio idruro (LiAlH4), che una volta riscaldata a una certa temperatura fornisce idrogeno e, solo a temperature molto elevate, vapori di litio.
Nella versione attuale, l’E-Cat ha un COP – cioè un rapporto fra l’energia prodotta in uscita e quella fornita in ingresso – di oltre 15 quando viene alimentato dall’esterno, ma di oltre 1 miliardo quando opera in modalità auto-sostentata (cosa che avveniva platealmente con le precedenti generazioni di reattori E-Cat). In ogni caso, usando opportune “cascate” di reattori, potremmo arrivare a valori di COP che lo rendono confrontabile con altre tecnologie rinnovabili pulite (fotovoltaico, eolico, etc.).
In realtà, però, fra queste tecnologie tradizionali e l’E-Cat non c’è confronto perché i costi di produzione e di gestione del primo sono in proporzione ridicoli, grazie all’altissima densità di energia del “carburante” – essenzialmente, idrogeno, litio e nichel (ma quest’ultimo, come vedremo, agisce sostanzialmente “solo” da catalizzatore delle reazioni) – che fin dalla seconda versione del reattore (l’Hot-Cat) è risultata confrontabile con quella dei combustibili nucleari usati nelle centrali a fissione. Ma, a differenza della fissione, l’E-Cat non produce neutroni o radiazioni ionizzanti, né scorie radioattive.
In effetti, il confronto fra la tecnologia E-Cat e le tecnologie nucleari tradizionali (fissione e fusione calda) è impietoso. Già l’E-Cat di seconda generazione, ovvero l’Hot-Cat, era in grado di produrre 1 MW di energia termica a 600 °C con un insieme di reattori più piccoli che, complessivamente, non occupavano più di un barile. L’E-Cat di ultima generazione è altrettanto compatto (produce 1 MW / mc), ma più facile da gestire e industrializzare, il che ha aperto le porte alla produzione di reattori E-Cat su vasta scala.
Già un reattore Hot-Cat, di cui vediamo qui la struttura portante in acciaio, era assai compatto (foto personale illustrata).
Un altro dei vantaggi dell’E-Cat di ultima generazione (QuarkX ed E-Cat SK) è che il reattore può essere acceso e spento – nonché la sua potenza di lavoro regolata – a piacimento con molta facilità. In particolare, la regolazione fine dell’energia termica fornita in uscita avviene semplicemente aumentando il numero di accensioni e spegnimenti, cioè in pratica agendo sul duty cycle. In combinazioni di più reattori E-Cat in parallelo, si può regolare in modo grossolano usando un numero minore di reattori.
Come si può intuire, si tratta di una tecnologia realmente rivoluzionaria ma che, a differenza della fissione nucleare, non ha applicazioni militari, se non per la propulsione di sommergibili strategici e di naviglio d’altura e, in futuro, per la propulsione di aerei; tanto che la Boeing e l’Airbus hanno già iniziato a fare od a promuovere ricerche in questo settore noto come LENR (Low-Energy Nuclear Reactions), come del resto molte altre multinazionali altrettanto famose (v. figura qui sotto).
Alcune delle multinazionali coinvolte in questo tipo di ricerche.
La presentazione dell’E-Cat SK del 31/1/19 non è stata un test di performance (che era stato mostrato un anno prima a Stoccolma, vedi qui), ma segna l’inizio della vendita dell’energia termica prodotta dal reattore, che verrà ceduta ai clienti industriali e civili interessati con uno sconto del 20% rispetto al suo valore di mercato. In pratica, il cliente non acquisterà alcun prodotto: pagherà solo l’energia ottenuta dal reattore, gestito in remoto dalla Leonardo Corporation di Rossi o dai suoi licenziatari.
È quindi evidente che tutte le fantasiose accuse di “truffa” di cui negli anni Rossi è stato accusato online da hater anonimi e perfino da qualche scrittore / scrittrice non laureati in materie scientifiche ma con ambizioni di “salvatori del mondo dalle bufale”, e spesso legati indirettamente o meno alle lobby energetiche – potenzialmente danneggiate da questo tipo di invenzione – vengono automaticamente a cadere. Per non parlare delle nostre verifiche fatte sul reattore nel laboratorio di Rossi.
Il sottoscritto in una delle numerose visite da noi effettuate nel laboratorio di Rossi a Bondeno (FE). Sono ben visibili, in primo piano, due E-Cat di prima generazione (120 °C) avvolti nella carta stagnola per evitare dispersioni di calore.
Infine, vorrei mettervi in guardia dal fatto che gran parte del materiale sull’argomento E-Cat che trovate su Internet è spazzatura creata ad arte. Ad esempio, le voci di Wikipedia a riguardo vengono costantemente modificate da personaggi pagati apposta per mettere in cattiva luce questo tipo di invenzioni. Altri articoli vengono commissionati per cercare di “bilanciare” la verità con menzogne. Pertanto, se volete farvi un’idea di come è fatto e di come funziona un reattore E-Cat, vi basta proseguire in questa lettura.
Come è fatto un reattore E-Cat di ultima generazione
Sebbene relativamente agli E-Cat delle prime due generazioni siano pubblici dei relativi brevetti (che ho analizzato tutti in estremo dettaglio nel corso degli anni in articoli o libri), Rossi si è sempre guardato dal fornire il 100% dell’informazione, in particolare riguardo gli impulsi forniti dal sistema elettronico di controllo del reattore, che ne costituisce il cuore, giacché nell’E-Cat di ultima generazione, come Rossi stesso ha spiegato, “le risonanze sono tutto”. Dunque, la proprietà intellettuale dell’E-Cat è racchiusa essenzialmente nel pannello di controllo, che non è brevettato.
Nonostante ciò, chi ha seguito in dettaglio – come il sottoscritto – l’evoluzione dell’E-Cat dalla prima generazione fino all’ultima, nonché quasi tutte le interviste e dichiarazioni di Rossi, tutti i test pubblici e tutte le presentazioni pubbliche del reattore, ed ha anche potuto visitare il suo laboratorio quando era in Italia, non ha difficoltà a mettere insieme i vari pezzi del puzzle per fornire un quadro completo e sostanzialmente coerente dell’argomento. Lo scopo di quest’articolo è di fornire da punto di partenza alla comprensione dell’E-Cat per un lettore che non sa nulla dell’argomento.
Come detto, vi sono sostanzialmente tre generazioni di E-Cat, per cui chi fosse interessato a conoscere in dettaglio le prime due generazioni (E-Cat a bassa temperatura e Hot-Cat), da cui discende la terza (QuarkX ed E-Cat SK), troverà tutte le informazioni – ed i brevetti – nei due seguenti libri: I segreti dell’E-Cat, di Mario Menichella (scaricabile da qui) e Hot-Cat 2.0: How last generation E-Cats are made (di cui è scaricabile qui la parte utile, per gentile concessione dell’Ing. Ventola).
Le copertine dei due libri dedicati alla tecnologia E-Cat di prima e seconda generazione.
Chi fosse un’interessato a un’introduzione più breve e diretta all’argomento, in particolare al reattore di seconda generazione – ovvero all’Hot-Cat, l’unico che attualmente può essere (ed è stato) replicato in maniera relativamente semplice da un esperto o da uno scienziato dilettante particolarmente determinato – può partire invece dalla lettura dei due seguenti miei articoli pubblicati su questo stesso sito: Come rivelare l’effetto Rossi con un Hot-Cat e Come replicare il reattore E-Cat di Andrea Rossi.
Infine, veniamo al reattore E-Cat di ultima generazione, rispetto al quale le generazioni precedenti sono considerate da Rossi “preistoria”. La migliore introduzione all’argomento è probabilmente il mio articolo Come funziona il reattore E-Cat QuarkX?, che trovate qui, e relativa al reattore Quark presentato per la prima volta al pubblico a Stoccolma il 24/11/17 (vedi qui il video completo). Ulteriori informazioni sull’E-Cat di ultima generazione sono state fornite nella presentazione dell’E-Cat SK del 31 gennaio 2019 e nelle settimane precedenti. Esse sono l’oggetto del presente articolo, che è quindi complementare.
Infatti, l’E-Cat QuarkX e l’E-Cat SK si possono considerare due reattori al plasma molto simili fra loro, anche se il secondo costituisce un leggero perfezionamento del primo, tale da renderlo adatto al debutto sul mercato ed al controllo da remoto conservando la proprietà intellettuale. In particolare, l’E-Cat SK pesa circa 1 kg, mentre il suo pannello di controllo circa 10 kg. Per quanto riguarda le dimensioni fisiche dell’E-Cat SK, esso è circa il doppio del Quark mostrato in pubblico nel novembre 2017: in pratica, la lunghezza del tubo con il plasma è di circa 1 cm, mentre il suo diametro è di circa 0,3 cm.
Due prototipi dell’E-Cat QuarkX in una foto resa pubblica nel luglio 2017 (fonte Gullstrom e Rossi). La zona fra gli elettrodi è mostrata nella foto in alto di questa pagina.
L’Ecat QuarkX mostrato nel 2017, invece, era composto da due elettrodi circolari di nichel di 0,08 mm di diametro separati da una distanza di 0,6 mm. La zona fra gli elettrodi e parte degli elettrodi erano avvolti da un tubo trasparente in materiale speciale per alte temperature riempito di litio alluminio idruro (LiAlH4), già usato con estremo profitto nell’Hot-Cat, in quanto fonte di idrogeno e litio, i due “combustibili” chiave insieme al catalizzatore, il nichel, che nell’Hot-Cat era anch’esso sotto forma di polvere.
Verosimilmente, nell’Hot-Cat (e nell’E-Cat di prima generazione) era necessario che il nichel fosse sotto forma di polvere affinché (1) l’idrogeno fosse allo stato monoatomico e (2) nel reticolo di alcuni dei suoi grani nanometrici si formassero zone a ben più alta temperatura (v. il mio articolo sull’esperimento di Fermi-Pasta-Ulam che trovi qui). Infatti, l’Hot-Cat aveva temperature più basse rispetto a un reattore al plasma, non sufficienti a scindere l’idrogeno molecolare in monoatomico. Con il LiAlH4, l’idrogeno è emesso allo stato biatomico, per cui non può subito reagire avviando le reazioni desiderate.
In pratica, quando agli elettrodi di nichel di un reattore QuarkX o di un E-Cat SK viene applicata una opportuna procedura di attivazione del plasma descritta nel mio articolo Come tentare di replicare un E-Cat SK, si crea nel reattore lo stato di “plasma”, cioè un gas ionizzato costituito da ioni e da elettroni e globalmente neutro (cioè la cui carica totale è nulla), che costituisce un “quarto stato” della materia. Successive reazioni esotermiche che si innescano nel reattore (v. la seconda parte di quest’articolo) fanno raggiungere stabilmente a questo plasma delle temperature elevate.
Schema di un E-Cat QuarkX come quello mostrato nella foto sopra. La necessità della resistenza (in questo caso di 1 ohm) è quella di evitare un corto circuito quando si crea il plasma.
L’E-Cat SK mostrato nella presentazione del 31/1/19, pur essendo di dimensione doppie rispetto al QuarkX, era molto più potente. Infatti, il QuarkX produceva una potenza termica, misurata con calorimetria a flusso d’acqua, di 22 W. Invece, l’E-Cat SK illustrato da Rossi il 31/1 ha una potenza termica circa 1000 volte maggiore, dell’ordine di 20 -22 kW: 20 kW tenendo conto dell’aumento di temperatura nel capannone riscaldato dall’E-Cat SK, 22 kW stimati invece con l’approssimazione di corpo nero.
Il COP del QuarkX e dell’E-Cat SK è più o meno simile (entro un fattore 2). La potenza necessaria a raffreddare il controller del QuarkX era di 0,6 W per reattore, mentre l’energia elettrica fornita al reattore è trascurabile. Ciò dava un COP di circa 35. Nel caso della presentazione del 31/1/19, l’E-Cat SK fornisce 20 kW, a fronte di 380 W necessari a raffreddare il pannello di controllo e di una quantità trascurabile di elettricità fornita al reattore, per cui il COP risulta essere in questo caso di circa 52.
In realtà, poiché il COP (Coefficiente di Performance) va calcolato come rapporto fra unità omogenee, mentre qui i kW in uscita sono termici e quelli in ingresso sono elettrici, per avere il COP reale occorre tener conto del fatto che i kW elettrici valgono circa 3 volte quelli termici. In pratica, occorre dividere per circa 3 il COP stimato da Rossi, ottenendo un più corretto COP di di circa 11-12 per il QuarkX e di circa 17 per l’E-Cat SK, che sono comunque valori di tutto rispetto e superiori a quelli dell’Hot-Cat.
Il calore prodotto dal raffreddamento del pannello di controllo dell’E-Cat di ultima generazione, tuttavia, può essere in gran parte recuperato, quanto meno per il riscaldamento invernale dell’ambiente. Così facendo il COP del sistema complessivo può crescere a valori ragguardevoli. Il che non stupisce, considerato che l’E-Cat SK sostanzialmente opera sempre in autosostentamento, se si eccettua una quantità minima di energia elettrica per avviarlo e per “controllare” costantemente il plasma.
Il controllo del plasma nell’E-Cat SK e QuarkX
Per quanto riguarda invece gli impulsi elettrici che vanno forniti agli elettrodi e le relative frequenze, rimando senz’altro all’articolo Come funziona il reattore E-Cat QuarkX?. Da questo punto di vista, la presentazione in streaming dell’E-Cat SK del gennaio 2019 non ha all’apparenza aggiunto molto, poiché il tracciato visibile sullo schermo dell’oscilloscopio mostrato in alto a sinistra (v. figura qui sotto) era senza triggering, per cui è stato proposto da Rossi solo per mostrare la tensione usata.
Lo schermo dell’oscilloscopio mostrato il 31/1/19 nella presentazione dell’E-Cat SK non rivela nessuna informazione utile riguardo le frequenze di pilotaggio del reattore.
Inoltre, come spiegato nella presentazione del 31/1, la tensione V misurata ai capi di a una resistenza R da 78 ohm posta in serie al reattore E-Cat SK è pari a (50 mV x 5 tacche =) 250 mV, mentre la corrente I corrispondente – che dunque scorre anche dentro al tubo con il plasma – è di 0,0032 A (quella che scorreva nel QuarkX presentato a Stoccolma era di 0,3 A, forse indizio di un plasma meno saturo di reagenti). Infatti, quando viene raggiunto lo stato di plasma – grazie a una o più scariche elettriche – il reattore si comporta come un ottimo conduttore metallico, per cui si assiste a una rapida caduta di potenziale.
Ciò, in effetti, lo si vede anche dalla ripresa video del plasma all’interno del reattore E-Cat SK mostrata nella presentazione del 31/1. Si vede il plasma muoversi un po’ come una ballerina, quindi sempre presente. Diversamente dal QuarkX, l’E-Cat SK sembra quindi lavorare con un duty-cicle assai più elevato. Nella demo del novembre 2017, infatti, dall’oscilloscopio si vedeva che veniva fornita agli elettrodi energia per 3 secondi e poi nessuna energia per 4 secondi, e veniva inviato un primo impulso che innescava il plasma e poi un secondo impulso con polarità inversa per arrestare lo stato di plasma.
Il plasma visibile all’interno del reattore E-Cat SK, mostrato nella presentazione del 31/1/19. La lunghezza del tubo con il plasma è di circa 1 cm, mentre il suo diametro è di circa 0,3 cm.
Infatti, dato che un reattore al plasma che estrae energia dall’ambiente e/o da reazioni che si verificano nella materia condensata produce a sua volta delle correnti elettriche, le quali possono danneggiare l’alimentatore del reattore e portare a una perdita del controllo del reattore stesso, anche se per un certo tempo possono – in linea di principio – far sì che vi sia un auto-sostentamento delle reazioni, l’arrestare ogni tanto lo stato di plasma nel QuarkX avrebbe la funzione di “resettare” il sistema.
Si noti che, in un articolo firmato da Oscar Gullstrom e da Andrea Rossi diffuso nel luglio 2017, viene citato un test effettuato su uno dei primi reattori QuarkX. Durante il test, è stata attivata e disattivata una corrente continua. Quando è stata attivata la corrente, è stato visto un plasma che scorre tra le due barre di nichel costituenti gli elettrodi. La corrente scorreva attraverso il plasma, ma il plasma è risultato essere neutro da un punto di vista della carica, ponendovi vicino la sfera carica di un generatore elettrostatico Van der Graaff. Ciò implica che il plasma ha un’uguale quantità di ioni positivi che si muovono in direzione della corrente fornita e di ioni negativi (elettroni) che si muovono nella direzione opposta.
Il regime in cui appare lavorare il tubo dell’E-Cat SK
Si può notare che il plasma all’interno dell’E-Cat SK mostrato da Rossi nella presentazione pubblica del 31/1/19 (trasmessa in streaming e che trovate qui) ha la tipica forma che ci si aspetta in un reattore al plasma composto da un anodo e da un catodo (v. figura qui sotto). Si osserva, infatti, la presenza del caratteristico “spazio (scuro) di Faraday”, tipico di una scarica a bagliore (glow discharge), che si colloca tra il bagliore negativo del catodo e la colonna positiva che si dipana dall’anodo in un tubo a vuoto, cioè nel quale la pressione del gas è molto bassa e viene applicata una tensione agli elettrodi.
Lo spazio di Faraday osservabile nell’E-Cat SK è tipico delle scariche a bagliore.
Nel 1838, Michael Faraday applicò un’alta tensione tra due elettrodi metallici a entrambe le estremità di un tubo di vetro che era stato parzialmente evacuato d’aria, e notò uno strano arco di luce con il suo inizio al catodo (elettrodo positivo) e la sua estremità all’anodo (elettrodo negativo). Nel 1857, il fisico tedesco Heinrich Geissler soffiò via ancora più aria con una pompa migliorata, fino a una pressione di circa 0,001 atm e scoprì che, invece di un arco, un bagliore riempiva il tubo.
La tensione applicata da Geissler tra i due elettrodi dei tubi, generata da una bobina di induzione, era compresa tra pochi chilovolt e 100 kV. Questi erano chiamati tubi Geissler, simili alle insegne al neon di oggi. La spiegazione di questi effetti era che gli elettroni liberi e gli atomi elettricamente carichi (ioni) naturalmente presenti nell’aria del tubo venivano accelerati dall’alta tensione applicata. L’aria ionizzata era elettricamente conduttiva e una corrente elettrica scorreva attraverso il tubo.
Data la presenza di ancora abbastanza aria, gli elettroni in questi tubi Geissler si muovono in un processo di diffusione lenta, senza mai guadagnare molta velocità, quindi questi tubi non producono raggi catodici. Invece, producono un bagliore colorato (come in una moderna luce al neon), causato quando gli elettroni colpiscono gli atomi di gas, eccitando i loro elettroni orbitali a livelli di energia più elevati. Gli elettroni rilasciano questa energia come luce. Tale processo è chiamato fluorescenza.
Scarica a bagliore in un tubo a bassa pressione causata da una corrente elettrica. (fonte Wikipedia)
Intorno al 1870, il fisico britannico William Crookes e altri furono in grado di evacuare i tubi a una pressione inferiore, sotto il milionesimo di atmosfera (10-6 atm). Questi erano chiamati tubi di Crookes. Faraday era stato il primo a notare uno spazio buio proprio di fronte al catodo, dove non c’era alcuna luminescenza. Questo venne chiamato “lo spazio oscuro del catodo”, “lo spazio oscuro di Faraday” o “lo spazio oscuro di Crookes”, che è quello che si osserva nel reattore E-Cat SK di Andrea Rossi.
Crookes scoprì che, quando faceva uscire più aria dal tubo, lo spazio scuro di Faraday si estendeva lungo il tubo dal catodo verso l’anodo, finché il tubo non diventava completamente buio. Ma all’estremità dell’anodo (positivo) del tubo, il vetro del tubo stesso cominciò a brillare. In pratica, quanta più aria veniva pompata fuori dal tubo, tanto più gli elettroni che si staccavano dal catodo quando gli ioni positivi lo colpivano potevano viaggiare più lontano, in media, prima di colpire un atomo di gas.
Un tubo di Crookes. I raggi catodici viaggiano in linea retta dal catodo e colpiscono la parete destra del tubo, facendola brillare per fluorescenza. (fonte: Wikipedia)
Nel momento in cui il tubo era buio, la maggior parte degli elettroni potevano viaggiare in linea retta dal catodo all’estremità dell’anodo del tubo senza una collisione. Senza ostruzioni, queste particelle di massa ridotta vengono accelerate ad alte velocità dalla tensione tra gli elettrodi. Questi sono i cosiddetti “raggi catodici”. Quando raggiungono l’estremità dell’anodo del tubo, viaggiano così velocemente che, sebbene attratti da esso, spesso volano oltre l’anodo e colpiscono la parete posteriore del tubo.
Quando gli elettroni dei raggi catodici colpiscono gli atomi nella parete di vetro, eccitano i loro elettroni orbitali a livelli di energia più elevati. Quando gli elettroni tornano al loro livello di energia originale, rilasciano l’energia sotto forma di luce, facendo sì che il vetro diventi fluorescente, di solito di un colore verdastro o bluastro. Più tardi i ricercatori hanno dipinto la parete posteriore interna con sostanze chimiche fluorescenti come il solfuro di zinco, per rendere più visibile il bagliore dei raggi catodici.
Confinamento in un cerchio del fascio di raggi catodici prodotti in un tubo a vuoto, ottenuto grazie all’impiego di un campo magnetico generato da una bobina di Hemholtz. (fonte: Wikipedia)
Perciò, anche da questo breve excursus sui tubi a vuoto, pare che l’E-Cat SK operi in un regime al confine fra la scarica a bagliore (per la presenza dello spazio di Faraday) e la scarica ad arco (per il fatto che tale spazio risulta essere nell’E-Cat SK molto piccolo). Verosimilmente, nel tubo il litio alluminio idruro (LiAlH4) viene vaporizzato – tramite l’applicazione di una temperatura e di una tensione appropriate (v. la terza parte di questo articolo: Come tentare di replicare un reattore E-Cat SK – per liberare gli atomi di idrogeno e quelli di litio, che dunque “riempiono” il reattore di gas di particelle con le rispettive pressioni parziali.
Come sarà più chiaro nella terza parte dell’articolo, l’E-Cat SK somiglia, per lo spettro prodotto nel visibile, a una “lampada ad arco per produrre raggi UV”, anche se non per le dimensioni (la lunghezza del tubo dell’E-Cat SK con il plasma è di circa 1 cm, mentre il suo diametro è di circa 0,3 cm). Una lampada simile è fatta di quarzo fuso, può resistere fino a 1600 °C ed è trasparente ai raggi UV. Essa usa un filamento di tungsteno e un anodo posti da parti opposte di una struttura di nichel progettata per produrre il migliore spettro di uscita.
Esempi di lampade ad arco ad alta pressione in commercio. Le lampade ad arco che producono UV possono contenere mercurio e argon (o mercurio e xenon).
Una lampada ad arco per produrre raggi UV si accende grazie all’alta tensione, dopodiché lavora con una bassa tensione. Ciò che naturalmente manca in una lampada del genere per avere una sorta di E-Cat sono piccole quantità di litio, oltre all’idrogeno (monoatomico), in modo da poter realizzare le reazioni fra i nuclei di litio ed aggregati compatti protone-elettrone o deuterone-elettrone (a seconda di quale isotopo dell’idrogeno si usi, v. la seconda parte di questo articolo). Inoltre, occorrerebbe aggiungere alla lampada commerciale un sistema di raffreddamento che assorba molto bene lo spettro UV.
Vai alla seconda parte dell’articolo. Vai alla terza parte dell’articolo.
Mario Menichella è un fisico che ha lavorato all’Ufficio Comunicazione dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), ed è autore del libro “I segreti dell’E-cat” (2011), oltre che di una lunga intervista video a Sergio Focardi, uno dei pionieri della ricerca sulla fusione fredda in Italia. È stato co-licenziatario per l’Italia della tecnologia E-Cat quale co-fondatore della Prometeon Srl, e successivamente ha ideato il Progetto NickeLab.