Come tentare di replicare un reattore E-Cat SK

Il reattore E-Cat di ultima generazione presentato il 31/12/19, noto come E-Cat SK, chiude un lungo ciclo di sviluppo tecnologico avviato da Andrea Rossi nel 2005-2006, e culminato in uno straordinario apparato per la produzione – “pulita”, in spazi ridottissimi ed a costo irrisorio – di grandi quantità di calore e di luce, sfruttabili anche tramite opportuna conversione (fotovoltaica, con motore Stirling o con turbina) in preziosa elettricità. In questo articolo vengono fornite delle informazioni preziose per chi volesse tentare la replica del reattore per scopi scientifici o per sfruttare in modo non commerciale tale risorsa.

In questo articolo vedremo come tentare di replicare un reattore al plasma E-Cat SK, come quello che è stato presentato per la prima volta pubblicamente il 31 gennaio 2019, e che costituisce la terza – e sostanzialmente ultima – generazione del rivoluzionario reattore E-Cat di Andrea Rossi, il quale fornisce a costi ridicoli soprattutto energia termica, dal 1° gennaio venduta ai clienti industriali di alcuni Paesi (fra cui Stati Uniti, Svezia e Giappone) con un forte sconto rispetto ai prezzi di mercato.

In realtà, il presente articolo rappresenta la terza parte di un articolo in tre parti. Pertanto, darò qui per scontata la lettura delle parti precedenti, introduttive all’argomento qui trattato, costituite dai miei articoli E-Cat SK: nel cuore del “reattore delle meraviglie” e La fisica dell’E-Cat: viaggio nei segreti del reattore. Questo è anche il mio ultimo articolo dedicato ai reattori E-Cat, dato che l’argomento è stato ampiamente sviscerato in miei vari articoli presenti su questo sito e nei miei documenti da essi accessibili.

In effetti, le informazioni da me veicolate relative all’E-Cat, considerando il complesso delle tre generazioni di reattori, costituiscono tutti i pezzi di un puzzle ormai completo; anzi, vi sono semmai delle “tessere in più”, dato che alcune cose possono essere fatte in più modi. Pertanto, il potenziale replicatore si trova nella situazione ideale, e può scegliere il tipo di implementazione che preferisce. In questo articolo parleremo, in particolare, di come tentare di replicare un reattore al plasma E-Cat SK.

Lo spettro del plasma negli E-Cat di ultima generazione

Nella presentazione del 31/1, è stato fatto vedere – ritengo per ragioni esclusivamente scientifiche – lo spettro visibile del plasma dell’E-Cat SK nella sua regione più calda (v. figura qui sotto), ottenuto con uno spettrometro Stellar Net 350-1150 nm. Esso mostra in ordinata la densità di radiazione emessa alle varie frequenze , mentre in ascissa vi è la lunghezza d’onda in nanometri (nm). Come si vede dalla figura di “leggenda” riportata più in basso, l’emissione dell’E-Cat SK avviene soprattutto nella regione dei 325-350 nm, che corrisponde ai raggi ultravioletti di tipo A (UV-A), ma si estende fino a quasi 450 nm.

Lo spettro visibile del plasma all’interno dell’E-Cat SK (media temporale di 17 frame ottenuta dal fisico Pekka Janhunen) e, sotto, una “leggenda” per interpretarlo. Si vede che ci troviamo nella regione dei raggi UV-A. L’E-Cat potrebbe però emettere anche a lunghezze d’onda più corte, fino ai raggi X (da 50-100 keV), non visualizzabili con lo spettrometro usato.

Ciò spiega perché le radiazioni prodotte dall’E-Cat siano facilmente schermabili dal suo involucro esterno, mentre i misuratori “a bolle” di neutroni e il contatore Geiger posti adiacenti al reattore non rivelano – come mostrato nella presentazione del 31/1 – variazioni rispetto al fondo naturale atteso. Rossi, qualche settimana prima, ha però scritto sul suo blog, il JoNP, che quando l’E-Cat SK è in funzione il Geiger rivela 0,12-0,16 μSv/h a 1 cm, mentre il normale livello di fondo misurato è 0,05-0,07 μSv/h.

I fotoni a 325 nm hanno un’energia di 3,8 eV, mentre quelli a 450 nm di 2,7 eV, come si può vedere con questo calcolatore online. Nell’ottobre 2012, in quel di Pordenone Rossi dichiarò – cosa fatta anche per iscritto in un’altra occasione – che l’E-Cat emetteva raggi gamma nell’intervallo di energia 50 keV-100 keV, che sono praticamente raggi X, già un po’ più impegnativi da schermare, corrispondenti a lunghezze d’onda inferiori a 0,025 nm (i raggi X cominciano già a lunghezze d’onda sotto i 200 nm).

La temperatura massima che si genera all’interno del reattore è assai elevata. Nella figura qui sotto vediamo lo spettro del plasma dell’E-CaT SK sovrapposto, in particolare, a una curva di corpo nero a 8.000 K. Sebbene lo spettro emesso dal plasma in questione sia diverso dalla curva tipica di un corpo nero (anche per i limiti inferiori dello spettrometro usato), possiamo stimare, come fatto da Rossi, che la temperatura delle parti centrali del plasma raggiunge il valore T = 2900 / λ = 2.900 / 0,35 = 8111 K = 7.837 °C.

Lo spettro del plasma dell’E-Cat SK sovrapposto a una curva di corpo nero a 8000 K.

Dunque, è assai interessante che l’E-Cat di ultima generazione emetta il suo calore principalmente a energie relativamente basse. Una stima molto grossolana è che l’emissione di un E-Cat SK sia sotto forma: elettrica (≈2%), luminosa (> 60%) e per il resto termica. Alla temperatura dell’E-cat SK, infatti, la maggior parte dell’energia è emessa sotto forma di luce. Attualmente, comunque, l’emissione elettrica non viene sfruttata e, al contrario, fa sì che occorra raffreddare molto il pannello di controllo.

La luce emessa dagli E-Cat di ultima generazione (QuarkX ed SK) è molto intensa, e non è possibile guardarla senza la protezione di speciali occhiali di grado 14, il massimo livello di protezione possibile. Se lo schermo del tuo computer è di 16 pollici, allora il plasma dell’E-Cat SK mostrato nella presentazione del 31/1/19 è nelle sue dimensioni reali. Il plasma si crea in un cilindro di 4 pollici (circa 12 cm) di lunghezza e 4 pollici di diametro, realizzato con materiale inventato da Rossi, fatto su misura (probabilmente assorbe le radiazioni) per quando tutto il calore emesso non viene rimosso da un liquido.

Il plasma dell’E-Cat SK mostrato nella presentazione del 31/1/19.

Si noti che la temperatura interna del QuarkX presentato a Stoccolma, misurata con il medesimo spettrometro non durante la presentazione (poiché c’era troppa luce) ma in precedenza, e riferita da Rossi a voce, era alquanto più bassa. Infatti, il picco dello spettro era in quel caso intorno a 1.100 nm (pari a 1,1 eV), per cui Rossi ha stimato T = 2900 / λ = 2.900 / 1,1 = 2.636 K = 2.362 °C. Tuttavia, in un’intervista rilasciata a metà dell’anno che ha separato le presentazioni dei due reattori, Rossi ha dichiarato che in questi reattori di ultima generazione si raggiungono temperature finanche di 25.000 °C.

Perciò, già nella presentazione di Stoccolma il reattore non poteva funzionare più di 10 secondi senza raffreddamento. Evidentemente, temperature così elevate pongono grossi problemi per quanto riguarda il materiale che compone le pareti del reattore, specie se queste devono essere trasparenti alla luce visibile. Dunque, è possibile che il reattore sia dotato di magneti permanenti per confinare il plasma più caldo lontano dalle pareti del reattore. I manicotti quasi neri che si vedono vicino agli elettrodi nelle immagini del QuarkX potrebbero, forse, nascondere sotto dei magneti cilindrici usati a tale scopo.

In ogni caso, è certo che occorre raffreddare opportunamente gli E-Cat di ultima generazione. Il QuarkX presentato a Stoccolma nel novembre 2017, ad esempio, era raffreddato dal circuito stesso usato per effettuare la calorimetria a flusso d’acqua al fine di testarne le prestazioni. L’E-Cat SK mostrato il 31/1/19 era invece raffreddato con argon riciclato dal pannello di controllo. In generale, occorre un circuito primario con un fluido (liquido o gassoso) e una pompa per trasferire il fluido, nonché uno scambiatore di calore (fluido / aria, o  fluido / fluido se è previsto un circuito secondario per fornire calore di processo).

Il circuito di raffreddamento del reattore QuarkX presentato a Stoccolma nel 2017 (in alto) e, sotto, le specifiche della pompa usata da sempre da Rossi per farvi circolare l’acqua.

Nell’Hot-Cat vi era un sensore di temperatura collegato al pannello di controllo che variava la tensione fornita al reattore – e quindi la temperatura prodotta dalle resistenze da esso alimentate – quando era necessario ravvivare la reazione all’interno dell’E-Cat, oppure in risposta alla temperatura del fluido da riscaldare. Di solito, a causa della sua capacità termica e della sua abbondanza, un comune fluido usato per trasferire il calore è l’acqua, nella sua fase liquida o in quella gassosa.

Il modo più semplice per tentare di replicare un E-Cat

Dato che ci sono state tre generazioni di E-Cat, ci si potrebbe domandare quale sia il più facile da replicare. La risposta è assai semplice: dato che è già stato replicato con successo dal fisico Alexander Parkhomov e da altri fisici e ingegneri di mezzo mondo (Svezia, Cina, Russia, Stati Uniti, Italia, etc.) l’E-Cat più facile da replicare è quello di seconda generazione è l’Hot-Cat. Chi fosse interessato a tentare una replica dell’Hot-Cat può quindi leggere il mio articolo Come replicare il reattore E-Cat di Andrea Rossi.

Tuttavia, se replicare un Hot-Cat vi darà una soddisfazione ingegneristica, forse vi soddisferà meno dal punto di vista applicativo e scientifico, poiché il COP ottenuto dai vari replicatori è – solo come ordine di grandezza – dell’ordine di ≈3 o inferiore, mentre per applicazioni ad es. commerciali sarebbe bene che fosse almeno 6. Inoltre, utilizza resistenze che si danneggiano facilmente in modo irreparabile e non permette di monitorare facilmente ciò che avviene di “scientifico” nella camera di reazione.

Una delle prime repliche indipendenti documentate dell’Hot-Cat di Rossi, avvenute fra il 2015 e il 2017, è ad opera del China Institute of Atomic Energy. Si noti l’uso di un’alimentazione DC, senza l’uso di frequenze particolari. (fonte: Scheda di un mio report interno de-classificato)

Uno dei motivi per cui, verosimilmente, l’Hot-Cat creato dai vari replicatori performa assai meno bene dell’originale è, probabilmente, il mancato trattamento preliminare del catalizzatore, cioè del nichel in polvere nanometrica. Infatti, Rossi sottopone questa polvere a uno speciale trattamento descritto nella prima parte di questo articolo (La fisica dell’E-Cat: viaggio nei segreti del reattore), e ispiratogli anni fa dal lavoro del prof. Christos Stremmenos, già docente di chimica fisica all’Università di Bologna.

Stremmenos – che peraltro fu il primo al mondo ad usare polvere di nichel negli esperimenti sulla linea di ricerca nichel-idrogeno – applicò questo tipo innovativo di trattamento in esperimenti sulla fusione fredda svolti nell’ambito di una tesi di laurea da un suo studente. Il passo avanti compiuto con questo metodo fu talmente significativo da provocare l’esplosione del reattore. Da quel giorno, Stremmenos non fece più condurre quel tipo di esperimento per motivi di sicurezza, ma non se ne dimenticò.

Come spiegato nel brevetto US9115913B1 concesso alla Leonardo Corporation di Andrea Rossi nel 2015 – e che è il principale relativo all’E-Cat – l’E-Cat di seconda generazione (cioè una forma avanzata dell’Hot-Cat illustrato nel libro Hot-Cat 2.0: How last generation E-Cats are made) utilizza una sorgente di calore (in pratica, una resistenza elettrica) e una miscela di “combustibile”, collocata in un inserto del reattore, composta da litio e litio alluminio idruro (LiAlH4), più il catalizzatore trattato costituito da nichel, tutti in forma di polvere.

A differenza di altri Hot-Cat di seconda generazione illustrati nel libro citato, che avevano una semplice geometria cilindrica, quello descritto nel brevetto usa la resistenza scaldante e la polvere sotto forma di struttura multistrato. Il combustibile è anch’esso sotto forma di wafer ed è inserito in un recesso del reattore dotato di uno sportello che viene sigillato (probabilmente si tratta di un espediente per evitare di dover fare il vuoto, oppure ciò semplifica la creazione del vuoto non essendo in polvere). Un pannello di controllo regola la tensione applicata alla resistenza elettrica che scalda il combustibile.

Uno schema dell’E-Cat di seconda generazione illustrato dal brevetto della Leonardo.

Il nichel però scompare, se non in quanto costituente degli elettrodi, negli E-Cat di ultima generazione (QuarkX ed E-Cat SK), che sono praticamente dei reattori al plasma un po’ al confine fra un “tubo con scarica a bagliore” (glow discharge tube) e un “tubo con scarica ad arco” (arc discharge tube), illustrato nel mio articolo introduttivo. Ciò elimina in un colpo solo tutte le complicazioni relative al trattamento del nichel, alla questione della sua dimensionalità, etc. Al tempo stesso, alla mia richiesta di conferma della presenza ancora del LiAlH4 in questi reattori, Rossi, pur vincolato da NDA a non dare informazioni di dettaglio, mi ha risposto che “i fondamenti sono sempre gli stessi di quelli descritti nel brevetto”.

Pertanto, tentare di replicare l’E-Cat di ultima generazione dovrebbe essere un’impresa molto meno difficile di quel che si crede, anche grazie alle informazioni che fornirò tra poco, e presenta altri vantaggi: può insegnare moltissimo dal punto di vista scientifico, poiché è possibile monitorare in modo assai semplice quel che che avviene all’interno del reattore; quest’ultimo è più affidabile nel tempo e permette, per vari motivi, di raggiungere più facilmente un COP elevato, entrambi obiettivi primari. Dico “tentare”, quindi, solo perché non ho ancora avuto l’opportunità di cimentarmi personalmente.

Per i “replicatori”, risulterà però utilissimo il brevetto US20180197643 che illustrerò in dettaglio di seguito, concesso e reso pubblico il 12/7/2018 alla società americana Industrial Heat, che nel 2013 (il comunicato stampa ufficiale è del 14 gennaio 2014) aveva acquistato la proprietà intellettuale completa dell’E-Cat di Andrea Rossi. Si intitola “Monitoring and controlling exothermic reactions using photon detection devices”, ed è accessibile da qui. Il brevetto è stato richiesto il 26/10/2016, quindi dopo la revoca della licenza a Industrial Heat da parte della Leonardo Corp. di Rossi (annunciata con un comunicato il 2/6/2016) ma prima della successiva lite legale vinta da Rossi, che ha così riacquisito i diritti sulla IP dell’E-Cat.

Un brevetto inatteso utilissimo di Industrial Heat

La figura qui sotto mostra il sistema del reattore, cioè l’apparato per la produzione di energia cui il brevetto appena citato di Industrial Heat (IH) si riferisce. Un elettrodo di alta tensione corre al centro di un contenitore cilindrico del reattore. Uno o più ingressi per il gas sono disponibili per far fluire gas dentro il reattore e/o per realizzare il vuoto. Un nastro scaldante è avvolto attorno al contenitore affinché possa venire scaldato alla temperatura desiderata. Sul reattore vi è anche un foro che permette l’osservazione dell’elettrodo e della zona di reazione da parte di un operatore (da evitare: può causare cecità) o di uno spettrometro.

Schema del sistema di produzione di energia a cui il brevetto di IH si riferisce.

Il plasma viene generato nel reattore applicando una differenza di potenziale fra l’elettrodo e il contenitore del reattore, perciò questa è la zona in cui il bagliore va monitorato. Il foro sul reattore dovrebbe essere grande abbastanza da permettere alla sonda di uno spettrometro (connessa allo strumento vero e proprio tramite una fibra ottica) di “vedere” all’interno del reattore. Si noti che l’elettrodo potrebbe essere anche costituito da un reticolo o una serie di griglie poste attraverso il nucleo del reattore e l’energia elettrica potrebbe venire fornita in modo selettivo a particolari griglie, quando appropriato.

In linea di principio, sul reattore si potrebbe applicare una telecamerina endoscopica (se ne trovano a basso prezzo su Internet), ma questa andrebbe protetta con un forte filtro, per cui probabilmente non sarebbe molto utile. Più utile, invece, sarebbe una sonda di temperatura posta sul o dentro il reattore per fornire un altro grado di informazione e/o di letture relative alle misure fornite dallo spettrometro. Ricordiamo che nell’Hot-Cat erano i sensori di temperatura a fornire un feedback al pannello di controllo.

Una possibile configurazione alternativa del sistema del reattore prevista dal medesimo brevetto è illustrata nella figura qui sotto. In essa, come si può notare, non vi è un foro di osservazione. Infatti, lo spettrometro è montato all’interno del corpo stesso del reattore. Ovviamente, in questo caso va posta molta cura affinché non vengano superate le specifiche dello spettrometro in termini di temperatura e di pressione, perciò può essere necessario montarlo in un punto abbastanza lontano dal corpo principale del reattore nel quale il plasma ad alta temperatura viene generato.

Uno schema alternativo del sistema di produzione di energia previsto dal brevetto.

Anche in questa seconda configurazione, un elettrodo corre al centro del corpo principale del reattore. Pure in questo caso uno o più ingressi per il gas sono disponibili per far fluire gas dentro il reattore e/o per realizzare il vuoto. Una resistenza scaldante è collocata all’interno del reattore per fornire il calore necessario a raggiungere la temperatura desiderata. Infine, una sporgenza laterale si protende fuori dal reattore ed ospita lo spettrometro, che così può avere ancora una visione dell’area di generazione del plasma pur stando, allo stesso tempo, lontano dalla sorgente principale di calore.

In entrambe le configurazioni del sistema LENR di produzione di energia, può essere previsto un sistema di controllo automatizzato del reattore, come ad esempio quello illustrato più avanti in questo articolo. Tale sistema di controllo può includere un processore e una memoria ed essere configurato per interfacciarsi con uno o più computer, oppure con uno o più operatori umani competenti. Inoltre, il sistema di controllo in questione può comunicare tramite una rete cablata oppure senza fili (wireless).

Come monitorare lo stato e l’attivazione del plasma

Il brevetto in questione “presenta un metodo per fare il vuoto in un ambiente contenente un sistema a reazioni nucleari a bassa energia (LENR, o Low Energy Nuclear Reactions) e per farvi fluire del materiale gassoso. Il metodo include il riscaldamento del reattore fino a un primo intervallo di temperatura e l’applicazione di una tensione a un elettrodo che passa nel ‘cuore’ del sistema LENR. Il metodo include inoltre la visualizzazione con uno spettrometro del plasma prodotto, per poter determinare che questo si trova alla temperatura desiderata grazie alle immagini così acquisite”.

Uno spettrometro simile a quello usato da Rossi per mostrare il plasma dell’E-Cat.

Infatti, per attivare un reattore al plasma, occorre generare un plasma che emette luce. Il colore di tale plasma dipende dal tipo di gas che si trova nella camera di reazione. Il colore del plasma – e perciò il tipo di gas presente nella camera di reazione – ci dice lo stato di attivazione e se il processo di attivazione deve essere proseguito o è stato completato. Anche scintille e archi possono venire monitorati per conoscere in che stato il plasma si trova: ad es. in modalità a scintilla, ad arco, scarica a bagliore, etc.

Si noti che il metodo illustrato può essere utile non solo per tentare di replicare l’E-Cat, ma anche risultare di applicazione più generale per la conduzione di esperimenti LENR per produrre energia in eccesso. L’idea, infatti, è quella di monitorare il “colore” del nucleo del reattore per determinare un’efficienza e/o un intervallo di temperatura ottimali. In alcuni reattori, l’operatore può monitorare con la propria vista il colore del plasma durante la sua attivazione: quando il colore appare rosa, si lascia continuare l’attivazione, quando invece il colore appare essere blu, l’operatore ferma l’attivazione.

Vi sono tuttavia tre problemi principali nell’usare il metodo dell’occhio umano:

  • La finestrella stessa usata per il monitoraggio può influenzare il colore. Per esempio, se viene usata una finestrella di zaffiro anziché una trasparente, allora il colore del plasma può venire alterato.
  • La finestrella spesso ha una temperatura limite associata ad essa, che può causare limitazioni sul reattore. Per esempio, se il reattore necessita di raggiungere una temperatura elevata e di rimanere alle bassissime pressioni del vuoto, allora la finestrella può costituire un fattore limitante, oppure occorre una spesa extra per far sì che la finestrella non si trovi in condizioni per le quali non risulta essere idonea in base alle proprie specifiche.
  • I colori appaiono differenti a persone diverse. Alcune persone sono addirittura cieche ad alcuni colori. Perciò, un plasma che appare rosa a una determinata persona potrebbe apparire di un colore differente a un’altra persona. Dunque, il conoscere in che stato si trova il plasma può essere qualcosa di assai soggettivo e può causare cattive attivazioni.

Si noti anche che il metodo di usare un rivelatore di fotoni (quale uno spettrometro è) per monitorare lo stato del plasma durante il processo di attivazione al fine di preparare un sistema LENR alle reazioni esotermiche è di applicazione generale. Per esempio, uno spettrometro può essere un rivelatore di fotoni UV che può essere configurato per rivelare fotoni nell’intervallo spettrale UV. Oppure può essere uno spettrometro ottico che può venire configurato per rivelare la luce visibile. E così via.

Schema del sistema per il controllo dell’E-Cat usato da Rossi in alcuni suoi test (elaborazione personale dell’originale ricevuto tramite canali riservati). Il laser non è essenziale.

Usato in connessione con un reattore esotermico al plasma del tipo “con scarica a bagliore” (glow discharge), uno spettrometro ottico permette di determinare in modo più preciso l’intensità di tutte le lunghezze d’onda della luce emesse dalla scarica a bagliore che si verifica nel reattore in questione. Ciò permette una classificazione più esatta del colore del plasma e perciò permette all’operatore – umano o software che sia – di determinare in che stato il processo di attivazione si trovi.

Uno spettrometro permette di quantificare lo stato della scarica a bagliore in livelli di intensità noti a lunghezze d’onda note. Perciò, i reattori possono venire attivati più facilmente e al meglio poiché i parametri che governano l’attivazione diventano valori quantificabili, misurabili. Eventualmente, lo spettrometro può esser usato nell’ambito di un sistema automatizzato per il controllo dell’attivazione, una volta che sia noto che tensione applicare e quando, nonché quando togliere la tensione e considerare completata la procedura di attivazione del reattore al plasma.

Esempi di un rivelatore di fotoni possono includere uno spettrometro gamma. Un tale strumento rivela le emissioni di raggi gamma, che possono indicare lo stadio o lo status di una reazione esotermica. Tecnicamente, i neutroni non sono fotoni e dunque un rivelatore di fotoni non include normalmente un rivelatore di neutroni. Comunque, l’impiego – in aggiunta – di un rivelatore di neutroni può essere utile sia per ragioni di sicurezza (esistono rivelatori a bolle del costo di circa 350 euro concepiti proprio a tale scopo) sia, talvolta, per monitorare e controllare il processo LENR.

La procedura di attivazione del plasma in un reattore

In pratica, secondo il brevetto di Industrial Heat, il determinare che il reattore (che non è l’E-Cat di Rossi) si trova alla temperatura desiderata include il rivelare, sullo spettro fornito dallo spettrometro, un primo picco di intensità a una prima lunghezza d’onda (compresa fra circa 400 e 450 nm, cioè violetto) e un secondo picco di intensità a una seconda lunghezza d’onda (compresa fra circa 550 e 625 nm, cioè rosa). Quando non viene rivelato un primo e un secondo picco d’intensità, il metodo prevede l’aumento della tensione applicata all’elettrodo. Ovviamente, le intensità in questione sono da intendersi come intensità relative.

Il diagramma atteso, secondo il brevetto di Industrial Heat, all’uscita dello spettrometro e relativo all’intensità relativa della luce vs. la lunghezza d’onda.

Il reattore rimane nello stato “in progress” – cioè il plasma è considerato nello stato “attivazione in progress” finché i due picchi desiderati citati in precedenza (uno violetto e l’altro rosa) non scompaiono. La procedura di attivazione è considerata completata quando lo spettrometro mostra sullo spettro acquisito un unico picco di intensità a una lunghezza d’onda compresa fra circa 450 e 500 nm, un intervallo tipicamente corrispondente a un bagliore blu visto dall’occhio umano.

Naturalmente, se la finestrella di osservazione non è perfettamente trasparente, occorre tenere conto dell’effetto del vetro sulla lunghezza d’onda rivelata quando si guarda agli spettri prodotti per tutti i suddetti picchi. In pratica le lunghezze d’onda indicate come desiderate per i picchi sono quelle osservate all’interno del reattore (ad esempio da uno strumento posto in esso). Si noti che gli spettrometri ottici tipicamente possono vedere tutta la luce visibile da circa 390 nm fino a 700 nm.

L’attivazione del plasma è considerata conclusa quando si osserva un unico picco a 450-500 nm, un intervallo caratterizzato da un bagliore blu visto dall’occhio umano.

Si noti che lo spettrometro può essere configurato per determinare altri punti-dati oltre a quelli dei picchi citati prima. Per esempio, un gradiente di colore può essere indicativo di condizioni operative desiderate o indesiderate. Se il gradiente di colore non è coerente lungo il nucleo o non è coerente con il gradiente atteso lungo il nucleo, ciò potrebbe indicare che il nucleo è a corto di “combustibile”. Inoltre, usando più reattori e più spettrometri, è possibile stimare la durata o il tasso di consumo del combustibile.

Il brevetto fornisce poi alcune interessanti e utilissime informazioni aggiuntive. Il riscaldamento a un primo intervallo di temperatura è compreso fra circa 100 °C e 400 °C. La tensione applicata all’elettrodo è compresa fra 200 V e circa 1.200 V. Il vuoto realizzato nel tubo del reattore è, come minimo, di 10-3 torr, cioè di 0,001 mmHg, pari a 0,0000013 atm, o 1,3 x 10-6 atm. Il flusso del materiale gassoso nel sistema LENR è compreso fra 1 e 10 Pascal (Pa), tipicamente fra 1 e 3 Pa (equivalenti, in pratica, a 1-3 x 10-5 atm o bar, ovvero a 0,00001-0,00003 atm o bar). Ma ancora più interessante è la procedura da seguire, che viene illustrata in ogni dettaglio e che può venire automatizzata.

In pratica, nel reattore va prima fatto il vuoto fino a un minimo di 0,001 mmHg. Dopodiché, viene inviato nel reattore del deuterio alla pressione di 1-3 Pa. A quel punto, al reattore viene applicato del calore (tramite la resistenza elettrica) finché il suo interno non raggiunge una temperatura compresa fra 100 °C e 400 °C. Con il corpo del reattore collegato alla terra (cioè a massa), un’alta tensione alternata (AC) o continua (DC) viene applicata all’elettrodo centrale. Il segnale di tensione può essere di 200 V-1.200 V AC o DC finché non si crea un plasma a flusso di scarica e fluisce una corrente da 20 mA-200 mA.

A questo punto, lo spettrometro viene usato per determinare lo stato del plasma. Se il plasma è nello stato desiderato, si procede al passo successivo. Se il plasma non è nell’intervallo desiderato, allora la pressione o la tensione vengono modificati finché il plasma desiderato non viene creato. Questo può essere un plasma con scarica a bagliore (glow discharge plasma), come quello presente nell’E-Cat SK, un plasma ad arco (arcing plasma), un plasma a scintilla (sparking plasma) o altro tipo di plasma.

Come risulterà ovvio a qualunque esperto, la procedura appena descritta può essere implementata attraverso un sistema, un metodo un programma per computer. Di conseguenza, essa può prendere la forma di una configurazione interamente hardware, di una configurazione interamente software (incluso il firmware, il software residente, etc.), o di una configurazione che combina aspetti software e hardware. Inoltre, il software può essere implementato in uno o più computer, anche per facilitare la memorizzazione e l’elaborazione di dati, oltre che per consentire un monitoraggio da remoto.

Un diagramma di flusso allegato al brevetto che sintetizza quanto qui illustrato e che può essere usato con la prima delle due configurazioni possibili del reattore illustrate in precedenza.

Alcune considerazioni finali per i “replicatori”

Come i lettori più attenti ed esperti avranno notato, il brevetto di Industrial Heat parla di deuterio e non di idrogeno normale, e gli intervalli spettrali indicati come riferimento nella procedura non corrispondono né al deuterio né a idrogeno (monoatomico), litio, nichel, solo per citare i candidati più ovvi. Non solo, ma non “tornano” neppure con quelle a regime della presentazione dell’ECat SK (325-350 nm) e del QuarkX (1.100 nm). Questo perché, semplicemente, il brevetto in questione non si riferisce all’E-Cat – né avrebbe potuto, non essendo più Industrial Heat proprietaria della IP – ma, molto verosimilmente, descrive l’apparato e le procedure usati per sviluppare e ottimizzare in tempi rapidi l’E-Cat QX / SK.

Pertanto, i replicatori dell’E-Cat SK non devono curarsi dei dettagli del brevetto illustrato (quali valori delle linee spettrali, intervalli di temperatura, etc.), ma cogliere tutti gli aspetti qualititativo-procedurali in esso illustrati. L’approccio spiegato da questo brevetto, infatti, è molto potente, poiché permette di monitorare i gas via via presenti nel tubo del reattore al variare della temperatura dello stesso; e moderno, giacché non si usa il vecchio metodo del prisma per scomporre la luce nelle sue lunghezze d’onda.

Faccio notare che, a una temperatura piuttosto elevata – verosimilmente raggiungibile negli E-Cat al plasma di ultima generazione (ma non certo nell’Hot-Cat di seconda generazione di cui abbiamo citato in precedenza il brevetto) – l’idrogeno presente normalmente in forma biatomica si dissocerebbe nella necessaria forma monoatomica (cioè in protoni), e dunque non sarebbe un’eresia quella di pensare di immettere nel reattore idrogeno dall’esterno, anziché usare il litio alluminio idruro (LiAlH4). In tal caso, si resterebbe solo di aggiungere in qualche modo nel reattore il litio. Più semplice di così!

Molte di queste cose sono ben note in fisica. Ad esempio, in un tubo a scarica contenente idrogeno a bassa pressione ed i cui elettrodi sono alimentati con alta tensione (ad es. 5.000 V) così da produrre una scarica, l’idrogeno si scompone da biatomico in monoatomico e, quando la luce prodotta dai suoi atomi eccitati è inviata a un prisma, essa si scompone nelle sue lunghezze d’onda componenti. Si possono così osservare 4 linee di emissione caratteristiche nello spettro visibile – violetto, blu, verde e rosso – la più intensa delle quali è a 656 nm. Gas di altri elementi chimici puri hanno linee spettrali associate diverse.

Lo spettro di emissione dell’idrogeno atomico ottenuto con un tubo a scarica in idrogeno e un prisma e, sotto, quello associato ad alcuni altri elementi chimici.

Vorrei infine raccomandare di usare come elettrodo in nichel (o di acciaio ricoperto di nichel) un cilindro con un diametro compreso fra il 50% ed il 100% del diametro del tubo di reazione, in modo che possa assorbire l’idrogeno monoatomico quando avviene la scarica elettrica, dal momento che tale scarica può dirigere gli ioni idrogeno (o deuterio, se si usa quest’ultimo ad es. con un elettrodo di palladio) nel metallo assorbitore di idrogeno, incrementando l’efficienza delle reazioni esotermiche (la potenza esotermica del reattore è proporzionale al volume del metallo che assorbe l’idrogeno), come suggerito in un altro brevetto di Industrial Heat, “Designs of exothermic reactors”, richiesto il 22/8/17 e concesso il 12/7/18.

A conclusione del mio articolo in tre parti sul funzionamento e sulla fisica dell’E-Cat, si può dire che l’E-Cat è un reattore basato sulle reazioni che si verificano, in condizioni locali idonee, fra due elementi chimici – l’idrogeno e il litio – e su un catalizzatore, il nichel, che nella maggior parte delle versioni (reattori di prima e seconda generazione) è usato sotto forma di polvere, mentre in quelli di ultima generazione, ovvero al plasma con scarica a bagliore, è usato solo negli elettrodi (v. Gullstrom e Rossi, 2017).

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L’Autore

Mario Menichella è un fisico che ha lavorato all’Ufficio Comunicazione dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), ed è autore del libro “I segreti dell’E-cat” (2011), oltre che di una lunga intervista video a Sergio Focardi, uno dei pionieri della ricerca sulla fusione fredda in Italia. È stato co-licenziatario per l’Italia della tecnologia E-Cat quale co-fondatore della Prometeon Srl, e successivamente ha ideato il Progetto NickeLab.

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